La nostra vita nella savana
Intervista a Gaia Dominici e Ntoyiai Koruta di @siankiki
Ciao Gaia, grazie mille per il tuo tempo. Ci fa davvero piacere poter ospitare te e la tua bellissima famiglia sul nostro Family Nation Magazine. Ti seguiamo sul tuo account instagram @siankiki tramite cui ci racconti della vostra vita nella Savana e non vedevamo l'ora di farti qualche domanda in più!
Raccontaci innanzitutto qualcosa di più su di te e sulla tua bellissima storia... e quando hai scelto di andare a vivere in Kenya?
Sono arrivata in Kenya agli inizi dell’anno 2014. All’epoca mi ero trasferita dall’Australia all’Inghilterra per studiare fotogiornalismo presso un’università in Cornovaglia. Al secondo anno, in tutte le facoltà inglesi, è obbligatorio compiere un’esperienza lavorativa o uno stage nel campo in cui ci si vuole specializzare. Io volevo lavorare sul campo come fotografa di guerra e così scelsi di partire chiedendo una borsa di studio all’universita. In realtà il Kenya non era la mia prima scelta ma alla fine mi convinsi a partire alla volta di Nairobi per questioni accademiche e logistiche. Ebbe così iniziò il mio periodo di esperienza lavorativa nelle baraccopoli e discariche a Nairobi. Fu solamente diversi mesi dopo il mio arrivo sul suolo keniota che andai a visitare la terra Maasai, nel sud del Kenya, per portare a termine dei progetti fotografici universitari.
E ora la domanda che tutte le anime romantiche aspettano con trepidazione: Come vi siete incontrati e innamorati tu e Ntoyiai?
Ci siamo incontrati pochi giorni dopo il mio arrivo in terra Maasai. Ero in un boma nella foresta a scattare fotografie ad una bellissima ragazza, moglie di un guerriero grande amico di Ntoyiai. Ci fu un piccolo malinteso tra me e la coppia di giovani e Ntoyiai mi aiutò a risolverlo nel migliore dei modi. È stato così che ci siamo conosciuti!
Il nome del tuo account Instagram @siankiki cosa vuole dire e da dove viene?
Siankiki o Esiankiki è una parola maasai che significa “giovane donna”.
Ntoyai è un guerriero. Cosa significa nella pratica?
I guerrieri molti anni fa erano i difensori delle comunità. Erano molto aggressivi e molto temuti. Oggi la figura del guerriero esiste per tradizione ma non ha più gli stessi compiti di centinaia di anni fa. Oggi i guerrieri sono pastori, agricoltori, impiegati nel settore turistico.
La cultura Maasai potrebbe sembrare molto diversa da quella Occidentale. Eppure tu sei ormai parte integrante della comunità. Quando hai iniziato a sentirti a ‘casa’?
La sensazione di trovarmi in un luogo conosciuto l’ho provata sin dal primo istante. Era come se fossi semplicemente tornata, dopo un lungo tempo. È qualcosa di difficile da spiegare, a parole. Non mi sono mai sentita un’outsider o una straniera. Forse le ragioni e i modi che mi hanno portato ad entrare in contatto con i Maasai ha condizionato molto il modo in cui loro hanno percepito la mia presenza li. Già dai primi tempi molti mi consideravano una giovane donna maasai, spesso quasi dimenticando che in realtà non lo sono! Ed è molto bello, se ci pensi! Poi ovviamente col tempo sono semplicemente diventata parte della comunità, della famiglia (enorme) di Ntoyiai!
Si è davvero bellissimo trovare un posto dove sentirsi veramente a ‘casa’. E sono molto d’accordo sul fatto che non è detto che coincida con il luogo dove uno è cresciuto. Piuttosto con il luogo dove uno si senta più se stesso. Raccontaci qualcosa della tua vita di ogni giorno, perché da qui è proprio difficile da immaginare...
Credo che molte persone si aspettino che la nostra vita nella savana sia una vita totalmente diversa da quella che vivete voi in una realtà occidentale ma in realtà, se penso proprio allo svolgimento di una nostra giornata tipo, io non vedo poi così tante differenze!
...E poi è arrivata Nariesai, tua figlia di 18 mesi. Cosa vuol dire crescere una bambina nella Savana? E cosa ti piace di più di questa esperienza? Credi che rimarrete nel villaggio anche quando Nariesai sarà più grande?
Non la definirei un’esperienza, questa è la nostra vita! Per quanto riguarda il futuro, chi lo sa. Viviamo nel presente. Per ora come hai scritto Naresiai ha 18mesi, mi sembrerebbe assurdo pianificare un futuro così lontano da ora.
Nei tuoi post parli di famiglia come ‘il prendersi cura l’uno dell’altro’ e non ti piace usare aggettivi e etichette che spesso usiamo per definire le ‘tipologie’ di famiglie (come ‘famiglia allargata’ o altre).. Raccontaci cosa significa per voi ‘famiglia’.
Quel post in effetti è stato letto molte volte, ma non sempre capito... Parlavo del fatto che nelle società occidentali si tende sempre a complicare cose che sarebbero semplicissime: insomma, creiamo problemi quando non ce ne sarebbe nemmeno l’ombra. Io provengo da una famiglia adottiva, ora ho creato insiemea Ntoyiai la nostra famiglia multi etnica e nonostante il nostro nucleo famigliare sia composto solo da noi 3 abbiamo tantissime persone che ne fanno parte. Ho capito, nei miei 28 anni di vita, che l’amore è amore, punto. Più lo cataloghi, lo etichetti, lo sintetizzi in compartimenti stagni, più gli togli quella spontaneità e quella naturalezza di cui si nutre e di cui tutti abbiamo bisogno. Vivere tra i Maasai mi ha insegnato che puoi amare senza etichettare anzi, devi amare senza etichettare.
Hai aperto un’attività tua, creando e vendendo monili Maasai e vendendoli online. Come riesci a gestirla dal villaggio?
È difficile! Difficilissimo. Non lo nascondo. E in più sono anche mamma quindi... ecco... vi lascio immaginare! Ovviamente non potremmo gestire PAMOJA shop da soli, dalla Savana. Abbiamo quindi creato un team che lavora in Italia e che consente di avere il contatto con i clienti, la gestione dei social e dello shop online e cose che appunto noi per forza di cose non riusciremmo a fare. PAMOJA, che significa insieme in swahili, rispecchia esattamente il significato etimologico della parola: si lavora insieme per un obiettivo comune!
Tua figlia ha la fortuna di portare dentro di sé più culture e lingue. É un dono, ma non è sempre facile conviverci o coltivarlo. L’ho visto anche quando ci siamo trasferiti qui da Bangkok e i miei figli dicevano di essere mezzi Italiani, mezzi Inglesi (in realtà sono anche Irlandesi) e un quarto Tailandesi! A volte non si sono sentiti del tutto compresi... Riguardo a Nariesai, cosa speri che si porti sempre dietro della sua storia e delle sue variegate identità?
Io credo che la visione “negativa” del multiculturalismo sia più tipica delle società occidentali. In Kenya il fatto che mia figlia, così come moltissimi altri bambini, sia nata da genitori di origine diversa non tocca mai particolarmente nessuno. In Kenya così come in tantissimi altri paesi africani da anni diverse culture (e religioni) convivono serenamente. Credo che farla crescere in Kenya non la farà sentire diversa o speciale ma semplicemente parte di un mondo dove è normale (o perlomeno non strano) avere un DNA più ricco e variegato!
Cos'è la cosa che ti manca più dell’Italia? E quando sei lontana dal Kenya e dalla savana cos'è la cosa che ti manca più del Kenya?
Mi manca la mia famiglia ma ormai sono abituata: ho lasciato l’Italia dieci anni fa! Quando vado in vacanza in Italia mi godo le comodità e tutte quelle piccole e grandi cose che inevitabilmente non ho e non vivo in Kenya, anche un semplice pranzo in famiglia ma non sto mai via così tanto da farmelo mancare!
Piani e progetti futuri?
Tanti ma per ora tutti top secret!