Be Kind: educare all'empatia
Siamo presi da troppi stimoli intorno a noi che a volte ci dimentichiamo di essere bravi genitori. La fretta di tutti i giorni nel conciliare lavoro, casa, scuola ci fa perdere il controllo su quello che è il nostro ruolo fondamentale per una crescita emotiva sana per i nostri figli.
Siamo dolci nella fase neonatale di un bambino, lo coccoliamo, lo accudiamo, gli facciamo le facce più buffe per farlo ridere; siamo il suo punto di riferimento, la sua forza, quello di cui si fida e lui per noi è al centro del nostro universo. Poi il bambino cresce e noi diventiamo sempre di più il modello da seguire, cerchiamo di trasmettergli i valori più giusti. Ma di valori un bambino non ne sa ancora niente, percepisce solo il nostro comportamento, ci osserva e neppure noi sappiamo quanto.
I valori per un bambino sono la nostra manifestazione di sentimenti ed emozioni, e il nostro compito di genitori sta proprio qui: educare i nostri figli alle emozioni, a conoscerle e a saperle gestire, educare i nostri figli alla parola e all’ascolto di se stessi e degli altri. Questo è il primo step fondamentale.
Se ci vede rispettosi, affettuosi ed educati con gli altri, lo stesso proverà a fare il bambino nelle sue relazioni, se siamo arrabbiati e la nostra rabbia sfocia in un urlo, lui farà pressappoco uguale, se siamo disposti al dialogo e raccontiamo lui ciò che ci accaduto durante la giornata, lui avrà più voglia di confidarsi e di raccontare ciò che gli capita. Il nostro compito non è certo facile.
Educare alle emozioni si può, con pazienza, con lo sguardo dritto negli occhi abbassandosi al suo livello di altezza, con parole non rabbiose, ma dolci e comprensive.
Proviamo a metterci nei panni dei nostri figli, per l’età che hanno, perché lo stato d’animo di un bambino è senza dubbio diverso dal nostro, perché ha un punto di vista diverso.
Il passo successivo è quello di educare i nostri figli a mettersi nei panni degli altri fin da piccoli.
La figura del genitore odierno è sempre più difficile perché gli adolescenti vivono la società in altro modo rispetto a trent’anni fa. Sono nati in una società bombardata da stimoli e da social netoworks in cui possono isolarsi creando dei mondi non accessibili agli adulti.
Gli adolescenti hanno bisogno di far parte di un gruppo, essere accettati. Sono condizionati dalla pressione degli amici, cercano di farsi notare dai coetanei e questa accettazione passa attaverso gruppi Whatsapp e social, spesso estranei ai genitori.
I bambini di oggi sono dei nativi digitali e gli adulti dovrebbero avvicinarsi a questo loro mondo virtuale con curiosità e rispetto, per non lasciare spazio ad un isolamento distruttivo.
L’adolescenza è una fase molto delicata in cui molti ragazzi hanno la tendenza ad isolarsi, a non chiedere aiuto e a dimostrare che ce la possono fare da soli, hanno paura a dialogare vis a vis e comunicano solo con messaggi e chat, tanto che anche quando sono fuori con gli amici, passano più tempo con il telefonino in mano rispetto al tempo che usano per parlare con i coetanei.
Per non arrivare a questo punto i genitori potrebbero innanzitutto instaurare un dialogo empatico fin dall’infanzia: non essere troppo rigidi e voler controllare tutto, ma cercare di comprendere i loro comportamenti e stati d’animo lasciando lo spazio necessario per creare un loro mondo, ma anche condividere con loro le nostre emozioni. Oltre a questo è sempre importante spronare i figli ad avere anche una vita sociale, sportiva e non solo virtuale, senza che si stentano obbligati o forzati.
È necessario adottare un comportamento costante nella quotidianità di tutti i giorni, è necessario aprirsi al dialogo e abituare i nostri figli fin da piccoli ad osservare e capire le proprie emozioni e quelle degli altri ad ascoltare e a comunicare in un modo che rispettino l’altro. È necessario, per il futuro delle nuove generazioni, adottare un comportamento altruistico per far sì che capiscano l’importanza di mettersi nei panni dell’altro.
In Danimarca, le scuole hanno previsto un’ora durante la quale i bambini ascoltano e parlano delle loro difficoltà in famiglia, a scuola, con gli amici, per arrivare ad una soluzione condivisa tra insegnanti e alunni. Anche la scuola italiana cerca di fare questo con laboratori sulle emozioni e sull’amicizia, soprattutto nelle scuole primarie, ma non è sufficiente se poi a casa il bambino vive una realtà totalmente diversa.
In questo processo di educazione emotiva, anche la figura di un animale può essere di aiuto. Prendersi cura di qualcuno diverso da sé è senz’altro un valore aggiunto nella crescita di un bambino. L’animale ha, per chi lo accudisce, una grande valenza emotiva: prendersi cura di lui, accarezzarlo e coccolarlo crea un piacevole contatto fisico e stimola una forte capacità di osservazione.
Anche il rapporto con l’animale quindi può diventare un mezzo per stimolare riflessioni su concetti importanti come il rispetto, la fiducia, la reciprocità. Prendersi cura di un animale può essere una cura contro l’isolamento, può essere un modo per responsabilizzare quei bambini che tendono ad essere più timidi di altri nell’aprirsi di più.
La così chiamata Pet Therapy è oramai la terapia più diffusa adottata con le persone più introverse e per innescare i meccanismi emozionali difficili da tirare fuori. In alcune strutture ospedaliere d’Italia la Pet Therapy viene utilizzata con grandi risultati.
L’animale si proietta totalmente verso il suo compagno di vita, non giudica, non ha pregiudizi, stimola emozioni anche solo con un semplice gesto, crea socializzazione ed è fonte di benessere emotivo per chi gli sta accanto.
Bisogna capire che l’empatia nasce da chi riesce a gestire le proprie emozioni ed appartiene a chi è in grado di porre dei limiti, ed è capace anche di accompagnare gli altri in senso emotivo e cognitivo. La persona empatica è quella che riesce a sintonizzarsi sul mondo emotivo dell’altro e a raggiungere il suo cuore, è colui che cerca di ditruggere quei limiti tra sé e gli altri.
Chi è senza empatia rimane superficiale anche verso se stesso; oggi come non mai, proprio perché viviamo in una società bombardata da social, in cui i giovani si perdono e sono focalizzati solo sul loro raggiungimento ‘popolare’, c’è bisogno di far conoscere questa parola il più possibile nelle scuole e nelle famiglie. Certo, è anche vero che esistono persone più dotate di empatia che altre, ma tutti, se abituati fin da piccoli, possono essere portatori di ciò che la nostra società ha più bisogno, l’empatia.
Si parte dalle emozioni, a distinguerle, a riconoscerle e a conviverci, per poi capire quelle di chi ci sta di fronte e provare a capirle senza giudicare.
È un lavoro su noi stessi e sugli altri, per noi stessi e per gli altri, per cercare di costruire un futuro migliore per i nostri figli.